Infedeltà coniugale e dichiarazioni al CTU: quando scatta l’addebito della separazione

Nel contesto delle separazioni tra coniugi, la violazione del dovere di fedeltà può avere conseguenze importanti, fino all’addebito della separazione. Non sempre però la tolleranza iniziale di un tradimento da parte dell’altro coniuge è sufficiente a escludere questa responsabilità. È fondamentale valutare l’evoluzione del rapporto e l’eventuale ripetersi delle violazioni. Anche le dichiarazioni rilasciate durante i colloqui con il consulente tecnico d’ufficio possono assumere valore probatorio, influenzando l’esito del giudizio. Per affrontare correttamente situazioni di questo tipo è essenziale rivolgersi a un avvocato esperto in diritto di famiglia, in grado di tutelare al meglio i propri diritti.

Separazione e violazione del dovere di fedeltà: un quadro normativo complesso

Nel contesto delle cause di separazione personale dei coniugi, l’infedeltà rappresenta uno degli elementi centrali nella valutazione dell’addebito della separazione. Ai sensi degli articoli 151 e 156 del codice civile, oltre all’articolo 473-bis.22 del codice di procedura civile, l’infedeltà può costituire una causa determinante per l’addebito, a condizione che essa sia individuata come causa esclusiva o prevalente della crisi coniugale.

Tolleranza del coniuge e rilevanza giuridica

Uno dei profili più delicati riguarda la tolleranza manifestata da un coniuge nei confronti dell’infedeltà dell’altro. In sede giurisprudenziale è stato chiarito che tale atteggiamento non è sufficiente, da solo, a escludere l’addebito. La condotta di sopportazione non può essere considerata una causa oggettiva scriminante che elimini l’illiceità dell’atto infedele. La giurisprudenza civile è ferma nell’affermare che il semplice fatto che un coniuge abbia inizialmente tollerato un tradimento non preclude la possibilità di addebito, specialmente se successivamente emergono nuove violazioni del dovere di fedeltà o una chiara cesura dell’affectio coniugalis.

La crisi coniugale e il ruolo delle dichiarazioni rese al CTU

Un altro punto di rilievo è rappresentato dalle dichiarazioni rese al consulente tecnico d’ufficio (CTU) durante l’istruttoria tecnica. Tali affermazioni, secondo l’art. 2735 c.c., comma 1, seconda parte, hanno natura di confessione stragiudiziale resa a un terzo, e possono essere valide fonti di prova. Nonostante non siano forme di prova tipiche, l’ordinamento processuale civile italiano consente il ricorso a prove atipiche, essendo privo di una norma che imponga la tassatività dei mezzi di prova.

Indicazioni della giurisprudenza: il caso del Tribunale di Pordenone

Un esempio significativo è rappresentato dalla sentenza del Tribunale di Pordenone, sez. civile, del 16 ottobre 2024, che ha fornito chiarimenti importanti sulla valutazione dell’infedeltà e delle dichiarazioni rese in sede tecnica. Il giudice ha evidenziato che, nel determinare l’addebito, è necessario valutare la successiva evoluzione del rapporto matrimoniale, e non limitarsi alla sola reazione iniziale del coniuge tradito. È la crisi coniugale nel suo insieme ad assumere rilievo, con attenzione agli eventi successivi al primo episodio di infedeltà e alle reazioni che essi hanno generato.

Conclusioni: la centralità del comportamento successivo alla crisi

In sintesi, l’infedeltà coniugale può condurre all’addebito della separazione solo se rappresenta una causa effettiva e determinante della fine del matrimonio. Le dichiarazioni rese al CTU possono costituire prova valida, in quanto rientranti tra le prove atipiche ammesse dall’ordinamento. Infine, la tolleranza eventualmente manifestata da un coniuge non è sufficiente a escludere l’addebito, ma può essere letta come sintomo di una crisi già in atto, rilevante per valutare la perdita dell’affectio coniugalis.

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